Fino a che punto puoi rinunciare

Ecco, li vedo entrare.
Come al solito aprono il corteo i piccoli del pre-kg, alcuni piangono, altri sono molto emozionati.
Poi le tre classi del kindergarden. Ecco la mia signorina con maglia green scelta dalla teacher. Sorride per nulla intimidita, non smette di guardarmi e mi  fa “ciao, ciao”.

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Come al solito per lei è importante che io ci sia. Che le dia attenzioni, che gratifichi ogni piccola esperienza che vive. Sarà colpa del fatto che è figlia unica e che io da quando sono qui non lavoro? O forse è solo a causa del fatto che questa nuova generazione di genitori a cui appartengo è così attenta?
Infatti oggi sono qui tutti i miei amici. Vedo anche diversi papà, tutti pronti ad immortalare il grande evento. Mi fanno un sacco di feste perchè non mi vedono da 15 gg a causa del nostro viaggetto in Italia. E lo stesso è successo alla festa di Cloe venerdì. Tutti sono venuti ad abbracciarmi e a dirmi “I missed you”. Non me lo sono sentita dire nemmeno dai miei amici a Milano che non mi vedevano da un anno. Sebbene anche loro siano stati fantastici. Mi sono fermata solo due giorni nella mia vita precedente. Eppure hanno fatto il possibile per esserci. E’ stato bello rivederli, stare con loro.
Eppure ho avuto sensazioni strane a stare lì. Mi sono chiesta: è questa la vita che vorrei ancora?
Perchè io non nacqui expat ma lo diventai per caso. E pensavo che quella di Milano fosse la mia unica vita possibile, quella che sognavo da bambina. Ma non sono riuscita a capire la sensazione che mi pervadeva. Non era un problema di “disadattamento” che inevitabilmente proviamo quando rientriamo a casa. Soprattutto se vivi in posti così diversi e manchi da un pò.
Già sentire che tutti parlano in italiano fa uno strano effetto. No, era qualcosa di diverso.

Ecco che  iniziano le gare e mi distolgono dai miei pensieri. Come al solito questa scuola è fantastica. Attiva, presente. Poi le maestre di mia figlia sono meravigliose. Lei è sempre felice di andare a scuola e questo per me è importantissimo.
Si inizia con la gara di corsa. So che Giada farà il possibile per vincere. E’ tanto competitiva. Ecco, lo sapevo! Nella foga cade ed ora piange. Miss Tab la consola. Corro da lei.

“Mamma io non vincio mai” mi dice. Poi però prende la mano della sua adorata miss Ali, si soffia il naso e si prepara all’altra gara. Vedo che Miss Tab le sussurra qualcosa nell’orecchio. Ora dovrà correre tenendo in mano una racchetta sulla quale è adagiato un sacchetto di sabbia. E lei si impegna e vince. Sono più contenta per la reazione che per la vittoria in se. E soprattutto le è tornato il sorriso.

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In diversi vengono a chiedermi se è tutto a posto, poi chiacchieramo, ci facciamo foto. Sorridiamo. Facciamo battute. Ci sono i genitori di Noor che si sono fatti la maglietta da supporter. Sorrido. Altrove verrebbero presi per esagerati. Qui sono quasi invidiati. O almeno io lo faccio. Li trovo così simpatici. Sereni. Liberi.
Ecco un altro gioco.
E’ un percorso ad ostacoli. Compresi grandi tubi. Mia figlia mi lancia pure un bacio prima di proseguire.

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E improvvisamente ho l’illuminazione.
Capisco quali  sono stati i sentimenti che mi hanno confuso.
Ora so spiegare quella sensazione che ho provato in Italia. In questa confusione, circondata da bimbi felici e da genitori dai tanti colori di pelle e vestiti, ho capito che cosa ho sentito.  In giro per Milano, in certi locali, parlando con alcune persone, mi sono sentita così lontana da tutto quello che mi circondava. Mi sembravano tutti più fighi e più seri, tutti così concreti e razionali. Forse pure un pò troppo cinici.
Rispetto a loro io mi sono sentita un pò stupida, così serena, leggera. Mi sono detta: “hai perso il senso della realtà…ti entusiasmi per delle sciochezze”. “Sei  felice …stai bene. Ma per cose non giuste. Non importanti”.
Ho capito che nella mia Milano era tornato a girarmi nella testa quell’assioma “non lavoro, quindi non esisto”.
Una mia cara amica che ha fatto tutt’altre scelte, infatti ora è un amministratore delegato, mi ha detto: “mi chiedo fino a che punto una persona può rinunciare a quello che è, sopratutto in posti come Kuwait  dove è difficile integrarsi”.
Io le ho spiegato che mi sono integrata, certo non tra i Kuwatiani, ma in un’altra comunità, che mi sta dando molto.
Le ho detto che non mi sento una che ha rinunciato a qualcosa, mi sento spesso sorpresa, quello si, di vivere una vita così diversa da quella che avevo sempre immaginato. Lei mi ha risposto che sì, lo capiva, ma che se fossimo rimasti in Kuwait troppo tempo “quella sarebbe diventata la mia vita che non è vera vita”.
E ora mentre sono qui, e sto ripensando anche all’altro giorno alla festa con Antonietta, la bella mamma libanese di Cloe così bella nel suo vestito di pelle, oppure Aisha, la mamma indiana di Tanisha con il suo copricapo di brillanti, oppure ancora ad Aya che oggi nella gara tra mamme ha corso tenendo i lembi del suo abaya, capisco che ora mi sento bene qui.
Sì mi guardo e capisco che sono cambiata io. In questo mondo così semplice. Colorato. Diverso. A volte noioso. Pieno di persone semplici. Prive del senso dell’apparenza, del potere. Almeno le persone che frequento tanto io.
Sono diventata semplice. Con pensieri lineari, forse basici. Non mi serve più il rescue remedy per calmarmi. Ho capito che sono questi i miei sentimenti.
Sono cambiata. Io con i mei jeans e  maglietta che costituiscono il massimo dell’eleganza, ora mi diverto con poco. Mi basta una battuta di Amal per ridere. Mi basta andare allo sport day di mia figlia per stare bene. Spesso in passato ho pensato che chi ignorava, o non era troppo intelligente, viveva meglio.
Sono diventata meno intelligente? Non so, forse ho recuperato il vero senso delle cose, l’essenza della semplicità.
Chissà forse è accaduto questo.
Oppure semplicemente non mi preoccupo di vivere. Vivo e basta.
Ma rinunciare, quello no. Non ho rinunciato.
Non sono più cool, smart, figa e invidiabile. Se mai lo sono stata. Ma sono sempre io.

Ecco, le gare sono finite.
Ci avviamo tutti verso le nostre insegnanti.
Siamo pronti a fare le foto. Vogliamo tutti immortalare questo giorno.

amichedifuso5 Perchè questa è vita vera.
E non credo di essermi adattata, non solo almeno.
Questa parte di me è sempre esistita. Sempre. Le ho solo dato più spazio.

Mimma, Kuwait

 

35 pensieri su “Fino a che punto puoi rinunciare

  1. Hai recuperato il vero senso delle cose… E questo ti permette di gioire della vita, sempre. La vita di Milano ha tantissimo da invidiare alla tua persona, ma troppo occupata a gareggiare per il nulla, e non se ne accorge.

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  2. C’è chi per arrivare a capire e vivere come stai facendo tu fa anni di terapia, senza arrivare a nessun risultato. Non è da poco, Ritengo molto intelligente il fatto che ti sia posta il problema e che abbia trovato dentro di te la risposta. Brava.

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    • Grazie mille. Non sempre tutto è così lineare, quello di interrogarmi è un vizio che ho da sempre. Non sarei riuscita a fare questa scelta altrimenti. Però si credo di essere sulla buona strada.

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  3. Brava Mimma, a me sembra che tu sia arrivata alla pace interiore, ovvero all’accettazione della tua nuova vita che hai scelto per amore, per il progetto di famiglia; questa nuova vita implicava necessariamente che tu tirassi fuori la Mimma moglie-mamma-casalinga h24 ma tra esserlo e accettare con consapevolezza e serenità questa cosa non credo sia semplice e immediato. In Italia la tua scelta non sarebbe stata compresa e forse anche molto criticata, li non accade forse perchè non hai alternative o forse, più semplicemente, perchè molte altre donne vivono e quindi comprendono, la tua scelta. Io non starei più di tanto ad interrogarmi e a spiegare; questa è la tua vita, questa è la tua scelta, questo è il tuo prossimo futuro, nessuno può viverlo al posto tuo, nessuno ha il diritto di occuparsene se non tu. Il fatto che tu sia una mamma e moglie h24 non annulla la tua vita precedente, al contrario la tua vita precedente arricchisce ma non sminuisce quella attuale. Domani vorrai essere un’altra nuova te? Lo farai, altrimenti non lo farai. Punto. Un bacio Mimma, fantastica la green girl!

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  4. sei riuscita a tornare alla base, all’essenziale. E’ un tesoro immenso. Tienilo stretta. (io un po’ ti invidio e sono una semplice impiegata sz nessuna velleità di carriera). Anna

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    • Grazie anna….si io lo dico sempre che Kuwait mi ha fatto 3 regali: mi sono ritrovata, ho fatto nuove amicizie e sopratutto mi ha dato la libertà di credere che posso vivere ovunque.

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  5. Cara, innanzittutto sei una persona positiva e questo aiuta molto a prendere le cose per il verso giusto, ad affrontarle con ottimismo e a viverle bene. Sei riuscita a crearti una rete di amiche con cui passi il tuo tempo, con cui condividi esperienze e ore piacevoli. Tua figlia è inserita bene a scuola e ha un sacco di amichette. Certo le difficoltà non mancano, ma hai molte cose positive intorno a te, non ultima un marito con un buon lavoro.
    Per molte donne hai una vita invidiabile, altre ritengono che tu la stia sprecando, avendo messo da parte la vita di prima, gli studi, i successi lavorativi. E’ un loro pensiero che si basa sulle loro esperienze, magari se facessero un anno della tua vita non tornerebbero più indietro!
    Io ti invidio, nel senso bello del termine, sia inteso, proprio per le cose dette sopra.

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    • Non credo che quelle persone mi invidiassero. Hanno una vita molto ricca ed esattamente a immagine dei loro desideri. Per il resto grazie cara….

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  6. cara Mimma, sono passati 9 anni dalla prima volta che mi allontanai dal lavoro Milano x il primo periodo all’estero. 7 da quando me ne sono andata definitivamente dall’italia e dal lavoro a Milano.
    Quando mi sono sposata e sono diventata moglie expat al seguito e’ stata una grande fatica elaborare il fatto che non lavorassi eppure esistessi ancora. Quegli abiti neri mi ricordavano una vita che non facevo piu’ e sembrava non potesse essercene un.a diversa che non fosse di ripiego. intanto che mi sentivo manteuta nei giorni peggiori e inutile in quelli medi, finivo la tesi di dottorato che ancora mi collegava a quel mondo di giacche nere e sottogiacca neri e pantaloni neri e scarpe nere, appesi e un po’ inquietanti nel mio armadio, quasi fantasmi del passato, come l’armatura del cavaliere vuota appesa nei musei. ci avevo combattuto le mie battaglie, avuto le mie vittorie, sofferto le mie sconfitte professionali, dentro quei vestiti,ch e mi sembrava cosi’ difficile digerire che quello che facevo ora, avesse lo stesso valore, anche se fossero battaglie completamente diverse, non validate da un salario, da un biglietto da visita, da un dottoressa prego. Ho temporeggiato a rimanere incinta perche’ non volevo buttarmi nella maternita’ come sostituzione della professione, non volevo che un figlio diventasse un ripiego nella vita che temevo essere di ripiego.
    C’e’ voluto tempo, alcuni giorni sono andata super avanti, altri sono tornata indietro. A un certo punto ho iniziato a comprare vestiti che mi piacevano senza pensare se andavano bene per l’ufficio. Meno nero, piu’ colore. Senza che fosse una scelta conscia, succedeva e basta. E iniziavo a dare valore alla mia nuova vita, a rendermi conto di quanto facessi, delle mie nuove vittorie.
    Non e’ avanzato che un paio di magliette nere di quel periodo. Quando guardo il mio guardaroba attuale, di mille colori, persino nei pochi abiti eleganti che ho, mi rendo conto che riflettono al meglio il cambiamento della mia vita. L’ultima giacca nera, comprata per discutere il Dottorato 5 anni fa e nella quale mi sentivo gia’ strana, l’ho prestata a una amica che discutera’ presto, ormai non aveva piu’ senso con me, non combatto piu’ battaglie che necessitano di una armatura di quel tipo. Forse se non avessi mai fatto la schiava legale in giacca di armani presa all’outlet pigiata nella metro al mattino, carica di fascicoli all’ora di pranzo ma tanto mangiare fa ingrassare e poi finalmente un attimo di pace con l’aperitivo, non avrei mai imparato a gioire in piena consapevolezza della vita che ho adesso. Quella che ero e’ parte di me, come quello che sono ora. ma sono contenta di aver vissuto piu’ di una possibile vita, adesso so cosa mi fa sentire piu’ viva e scelgo ogni giorno quello che invece era cominciato come una necessita’ per costruire un matrimonio

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  7. Bellissime parole, Mimma!
    Controcorrente ti dico che mi piace soprattutto la sensazione che cosi come tu sai di aver trovato una felicita’ li, i sottotitoli mi dicono che riconosci e rispetti che gli altri la possano trovare altrove.

    La tua bimba e’ meravigliosa ed e’ l’immagine della felicita’!

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    • Cara Annika non posso giudicarli anche perchè per molti aspetti io sono cresciuta con altri “miti” e desideri….La realtà che io stessa ho imparato che esistono mille modi per vivere la vita, e se prima era un pensiero astratto e molto politically correct …ora è una realtà.

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  8. ho letto con interesse il tuo post e anche il commento di Valentina Houston e non riesco a reprire quella domanda antipatica che sicuramente vi faranno in tanti: ma dopo? cioè tra 5-10 anni, quando i vostri figli non avranno più bisogno di voi, che succederà? Da dove verrà tutta questa pace e armonia? Non lo chiedo per provocare, ma per capire

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    • Prima di tutto credo che tra 5 anni avranno ancora più bisogno. Voi per la scuola, vuoi per un contesto diverso. Voi per colmare la sua preparazione. Crescere in un contesto internazionale richiede molti sforzi da questo punto di vista se ci tieni che cresca bilingue. Ma a parte questo io non è che non faccia proprio nulla. Ho scritto un libro e ne abbiamo un altro nel cantiere. Collaboro nella organizzazione di eventi, sono molto attiva con la comunità e devo dire che mi conosce mi teme perchè mi invento sempre qualcosa. La mia “presunta” pace interiore non è derivata dal fatto che non faccio nulla, o che mi sento realizzata totalmente solo dalla mia condizione di mamma. La mia pace interiore è aver capito che forse io posso essere anche altro. E quell’io che tanto agognavo forse era più il frutto di condizionamenti esterni che non di mie vere scelte. Tutto qua

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    • ciao cara.grazie per la domanda, che arricchisce il post di prospettiva. Si e’ giustamente parlato del percorso dal passato al presente, cioe’ dal digerire, realizzare e accettare che si possa avere valore nella propria quotidianita’ indipendentemente dall’avere un lavoro retribuito. Il passo successivo per me e’ stato pensare a cosa mi piacerebbe fare dopo..nel frattempo che passo questi anni da mamma full time ho sviluppato molte capacita’ che non pensavo di avere e altre le ho imparate proprio da zero. Percio’ un piano a per quando saranno tutte infilate alla materna e avro’ quindi sette ore al giorno libere (molto meno che tra 5-10 anni, ne basteranno 3) ce l’ho e ora nei coriandoli di tempo libero cerco di studiare i vari aspetti l’argomento sul quale mi lancero’. ovvio che in caso di necessita’ (l’idea che ho non funziona, mio marito per qualche motivo non guadagna piu’ abbastanza per tutti etc) mi rimane sempre come piano b tutti i miei studi e qualifiche precedenti, che averli nel cassetto e’ comuqnue sempre una piccola garanzia

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      • Grazie Valentina! Credo tu abbia colto il senso della mia domanda. Ti auguro allora di poter usare al meglio il tuo tempo

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  9. Che serenità e che pace si respira dalle tue parole!
    E’ vero che a Milano se non lavori ti guardano di sbieco, con un misto tra compassione e disappunto, come se l’unica cosa importante, o la più importante, nella vita fosse il lavoro. Lo scrive una che ha lottato con i denti per riuscire a rientrarci dopo la seconda maternità, ma a certe condizioni che non sacrificassero la famiglia.
    Tu sei stata molto coraggiosa a mollare tutto per un bene più grande ed è bello leggere che questa scelta ti ha portato tutta questa serenità 🙂

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  10. E’ un pezzo molto bello! Credo che ci sara’ sempre qualcuno che ci dice che quello che facciamo non va bene/e’ un spreco/e’ stupido… ma cosa vuol dire “vita vera”? Se tu sei felice allora stai facendo la vita giusta! E quando la gente ti dice che non lavori e quindi non esisti tu rispondi “Io ho scritto un libro, tu quanti libri hai scritto?” 🙂

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    • Tu non vale mi vuoi bene…come io voglio bene a te. ci piacciamo assai. forse dovrei rispondere come fanno a volte i bimbi piccoli “nanana…nanana…”

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  11. Da un lato, credo che la differenza tra la serenità e leggerezza che senti tra le mamme li’ e la concretezza un po’ pessimista ed il cinismo che senti a Milano, non sia altro che il riflesso del fatto che in Italia (o almeno anche dove vivo io) e’ un momento difficile: chi ha un lavoro si interroga sulle alternative ma ha troppo il terrore di perderlo per prenderle in considerazione o magari gli piace molto ma è frustrato dal lato economico, sociale o dall’aria che si respira in generale, chi non c’è l’ha e’ messo pure peggio o, semplicemente, non osa dire ch sta bene così, quasi sentendosi in colpa per la “fortuna” di essere casalinga.
    Li’, invece, le donne che frequenti hanno fatto tutte la stessa scelta e vivono in nuclei in cui la preoccupazione economica e’ stata demandata ai mariti, concentrandosi così su altro, in un paese in cui, da quel che scrivi, si respira aria di sviluppo.
    Questa è’ l’impressione che ho avuto io leggendo, eh, non è detto che non stia clamorosamente sbagliando!
    Dall’altro lato, visto dall’esterno credo che tu stia accettando il cambiamendo, superando la fase dell’innamoramento dell’avventura di partire e diventando consapevole di ciò che hai.
    Che non è poco, e’ moltissimo.
    E poi nella vita di ciascuno secondo me i momenti di riflessione profonda, di critica ed autocritica, dovrebbero sempre accompagnarsi a momenti di pace, di serenità e semplicità, leggerezza che non è stupidità (se no, non avresti scritto questo post).
    L’assioma “se non lavoro (renumerato) non esisto” non è altro che una forma di discriminazione sottile che ci portiamo dietro da sempre, noi donne e anche gli uomini (tanto che quando perdono il lavoro sono quelli che sembrano, dalle statistiche, soffrire di più, incapaci di darsi altri obiettivi) e che a mio parere dimostra quanto poco ancora siamo liberi.

    Non sai quanto, alcuni giorni, mi senta in colpa se porto il bimbo al parco giochi dopo l’uscita pomeridiana da scuola, quante volte mi sia sentita chiedere: “Ma tu, non fai l’avvocato? ma il lavoro va bene? No, sai, visto che sei qui”, come se si dovesse lavorare 24 ore su 24 per essere bravi professionisti. Per non parlare di chi sta in uffici fingendo di lavorare per paura di farsi vedere in giro….assurdo, eppure è la trappola di quell’assioma.

    Comunque, la tua piccola e’ stata bravissima e si vede che si è divertita molto!

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    • Cara tu mi conosci ormai sai tutta la mia storia. Credo che la tua analisi sia molto completa. Anche se propondo a dare molto più peso alla tue ultime osservazioni. Noi siamo ossessionati dall’idea del successo. Di avere certi lavori. Le donne poi ancora peggio. Alle nostre madri mai nessuno si sarebbe mai sognato di dire nulla. E ti assicuro che in tanti qui fanno lavori normali. Certo non c’è crisi ma è anche vero che tutti abbiamo rinunciato ad avere una vita di un certo tipo in nome di questo, della serenità di avere un lavoro. E dico tutti pure gli uomini. Alla fine è solo una scelta. Incattivirsi, perdere certe cose…Non mi va che si giustifichi tutto in nome della crisi. I miei amici e le persone incontrate a milano sono tutte super benestanti, con lavori stellari. In puglia dove si tira a campare da sempre la crisi si sente eccome ma la gente è ancora umana. Quindi non so, sicuramente ha il suo peso ma meno rispetto al secondo punto che abbiamo sottolineato.

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      • Forse i milanesi sono un po’ un mondo a parte, almeno dal punto di vista del lavoro.
        nella provincia piemontese e in Valle d’Aosta il lavoro che fai conta molto ma meno che a MIlano e, soprattutto, lavori più “tradizionali” e manuali sono molto più apprezZati.
        Inoltre, si da meno peso all’apparenza e tutti sono più umani e disposti ad intrattenere relazioni personali.
        Tipo che i milanesi che ho conosciuto io al primo incontro vogliono sapere quanto guadagni o ci tengono a dirti quanto guadagnano loro e che responsabilità hanno, dalle mie parti è una domand tabù anche tra gli amici e il lavoro che si fa, o si sa già perché i paesi sono piccoli, o non si chiede fino a che c’è confidenza.
        E hai ragione, la crisi non giustifica tutto.
        Il problema è che alcuni continuano ad avere tanto ma il solo pensare di non poterlo più continuare ad accumulare li distrugge, nel bene e nel male, e li deprime o incattivisce.

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      • Ah, aggiungo: lo so che stare lontani non è facile, anche se si guadagna bene (e non sempre è cosi) o si fa carriera. Stare lontani da familiari, amici e ambienti conosciuti e’ un sacrificio enorme!!!

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  12. Che bel post! Altro che amministratore delegato, tu hai un tesoro: hai conosciuto una realtà diversa che alla fine ti ha dato tanto, stai facendo tante bellissime esperienze, godendoti la bellezza di ogni giorno. Ti seguo con piacere!;)

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    • Grazie Antonella. Non lo so. Credo che lei sia felice così. che con meno impazzirebbe. Ognuno lungo la strada capisce cosa lo fa stare bene. anche sorprendendosi a volte.

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  13. Mi sono fatta le stesse domande, quando mi sono trovata a sentire tutte le mamme expat vogliose di tornare in patria, per ricominciare a lavorare. Mi sono detta: ma com”è che io non ho tutta questa smania? Forse c’è qualcosa che non va, tutte vogliono essere indipendenti, con il loro lavoro, i loro spazi, la loro vita. A me basta un paio d’ore in palestra e tanto tempo con la mia famiglia e sono realizzata. Non sono più un’eterna insoddisfatta, quello che ho è davvero tanto, tutte queste mamme straniere, tutte queste lingue, tutte queste culture mi sembrano arricchirmi molto di più di un lavoro.
    Non lo so, ma in fondo non è questa la vera felicità? Lo stare bene nella semplicità?
    PS: ma che figata la giornata sport!

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  14. è vero che Milano mette un po’ questa pressione… sempre perfetti, alla moda, di corsa, impegnati… io la odiavo e qui ho ritrovato un po’ di piu il senso del tempo, la calma, il silenzio… la domanda della tua amica sulla “vita vera” mi lascia un po’ basita… come se essere moglie e madre già non fosse vita vera, men che meno all’estero… il bello è proprio pensare che non ci sia una vita sola per ognuno, ma che il tempo passa e le cose cambiano… Gio

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